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29/03/2023

Categoria: Social Networks

Usare Linkedin in azienda: la guida definitiva

mercoledì, 09 Giugno 2021 da studio24

Di come ottenere risultati proficui attraverso l’interazione tra dipendenti e pagine social abbiamo già parlato. Oggi, però, vogliamo focalizzarci in particolare su un social in particolare. Siamo certi che, dopo aver letto il titolo, starete tutti chiedendovi quale. Pronti? Cominciamo!

Come dobbiamo considerare la pagina Linkedin aziendale

Cominciamo dalle basi, ossia dall’identificare la pagina Linkedin dell’azienda così da avere un quadro più preciso di come utilizzarla. Questa è, allo stesso tempo, un biglietto da visita, uno spazio in cui deve concentrarsi tutto il sistema valoriale aziendale, un’occasione di interazione e networking.

Bastano queste poche righe a farci capire come si tratti di un social da non sottovalutare. Anzi, vale la pena valorizzarlo in ogni modo possibile.

Linkedin e i dipendenti

L’idea di creare una relazione tra la pagina aziendale e le singole pagine dei dipendenti nasce da una semplice valutazione matematica: la somma dei collegamenti dei singoli dipendenti è sempre superiore al numero dei follower della pagina aziendale. E talvolta parliamo anche di numeri molto importanti, che fanno dei dipendenti una risorsa preziosa.

Parallelamente, perché questa interazione funzioni, occorre darsi delle regole. Vediamo quali:

  • Stabilire una policy in modo da creare un sistema organico in cui la pagina profilo del singolo dipendente mostri delle linee di condotta univoche e condivise con la pagina aziendale. Si tratta di considerare a tutti gli effetti i dipendenti come Brand Ambassador. Il loro comportamento, quindi, deve rispettare i valori del brand, e ovviamente portare una luce positiva sullo stesso, evitando, viceversa, di aprire a polemiche sterili o dichiarazioni controverse.
  • Creare un team di Brand Ambassador affidando quindi ad alcuni dipendenti il compito specifico di applicare la social media policy aziendale. Possono essere soggetti al vertice (devono) ma anche meno in vista, o un mix dei due che dia un’idea più organica. Chiaramente, su questi soggetti la responsabilità di rappresentare l’assetto valoriale dell’azienda grava con un peso maggiore, ma di fatto questo è quello che già succede nella realtà, ed è facile capirlo se si pensa alle recenti campagne di boicottaggio sorte proprio a seguito delle dichiarazioni di alcuni imprenditori o soggetti in posizione apicale (alzi la mano chi non ha comprato una certa pasta per un certo periodo, insomma.)
  • Curare l’aspetto visivo: alcune aziende adottano, tra le loro politiche, quella di mostrare nei singoli profili immagini simili, con grafiche e testi che richiamano il brand. Anche in questo senso si può optare per una totale uniformazione oppure creare un mix tra scelta del singolo e quello che potremmo definire “set grafico aziendale.” Importante è la foto di copertina, che dev’essere sempre connessa al contesto professionale, nonché la descrizione delle esperienze professionali.
  • Mostrarsi compatti, e mostrare di apprezzarlo: certo gli aspetti grafici sono immediati e, per questo, importanti. Ma non meno importante è mostrare una situazione che sia organica nei fatti, evidenziando l’importanza del contributo dei dipendenti. Basta menzionare i dipendenti nei commenti, coinvolgerli nei post, chiedendo dei loro contributi sulla pagina aziendale, e ovviamente chiedendo loro espressamente di interagire con la pagina commentando i post e condividendoli.

Un approccio vincente sotto diversi punti di vista

Quello di essere una sorta di livella sociale, è un aspetto dei social che viene spesso citato. Quando si parla di relazioni social intra aziendali, però, questo aspetto assume una forma diversa ed estremamente interessante. Da un lato, infatti, la partecipazione social dei dipendenti rappresenta un modo di sfruttare il capitale umano in una nuova versione più al passo con i tempi. Dall’altro, però, questa valorizzazione di abilità che non sempre sono connesse alle loro skills specifiche costituisce anche per i dipendenti un’ottima occasione di mostrare soft skills che diversamente non avrebbero la possibilità di mettere in luce, ad esempio la capacità di generare engagement. Insomma, un rapporto win-win che si rivela stimolante e positivo sotto ogni punto di vista. E voi? Che aspettate?

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Calendario editoriale: 3 motivi per cui non puoi copiarlo, ma devi fartelo da solo

lunedì, 12 Aprile 2021 da studio24

Avete già un piano editoriale? Bene. Ma forse non avete un calendario, cioè: avete deciso e creato i contenuti, ma non avete deciso un ritmo di rilascio, date di pubblicazione, modalità di condivisione. Insomma, tutti quegli aspetti relativi al “come”. O ancora, ne avete uno, ma è estremamente blando o ricalca quelli della concorrenza: un post sui social al giorno, un contenuto sul blog a settimana, un video su Youtube ogni lunedì alle 8. Ora state sbadigliando, vero?

Personalizzare il vostro calendario editoriale, in verità, è fondamentale. E non solo per non essere noiosi. Ci sono decine di altri motivi che non hanno nulla a che fare con la letargia. In questo articolo abbiamo voluto analizzare i tre principali.

  1. Questione di (feeling) budget

Cominciamo da un aspetto meno simpatico ma decisamente importante. Quale che sia la vostra mansione nel processo comunicativo, l’impostazione del calendario editoriale è quella parte della strategia che permette di allocare le risorse in modo efficace ed efficiente, ma anche di sapere quante sono esattamente le risorse a disposizione. È grazie al calendario, ad esempio, che si può ottenere una distribuzione organica del budget che tenga conto del valore concreto dei contenuti e non del semplice “chi prima arriva meglio alloggia.”

In poche parole: si calcola la mole di lavoro – ed eventualmente la sia amplia o riduce – lo staff disponibile, il tempo necessario, in base a un budget o, per i più fortunati, fissando un budget. Un tipo di pianificazione che vi permetterà, nel lungo periodo, di massimizzare gli investimenti.

  1. Identity: avere una personalità forte e sapere come dirlo in giro

Oggigiorno, per distinguersi dalla concorrenza, creare attorno al proprio brand un’identità forte, immediatamente riconoscibile e identificabile con un determinato alveo di valori, è fondamentale. E questo vale per tutti i settori, inclusi – e forse soprattutto – i più tradizionali.

Ed ecco perché vale la pena sfruttare tutto lo sfruttabile per definire l’identità del proprio brand, creando così una realtà unica, ma allo stesso tempo rassicurante, che si distingua ma sia fedele a se stessa. Il calendario editoriale serve anche a questo: definire uno stile comunicativo, darsi degli obiettivi (ed essere in grado di verificarne il raggiungimento ex post), produrre dei contenuti che risultino sempre coerenti sia con la propria storia che con la natura della propria attività.

  1. Definire i termini della propria presenza

Ovviamente, parlando di calendario, si pensa immediatamente a qualcosa che sia utile anzitutto a stabilire, ad esempio, quanti post a settimana pubblicare. E sicuramente è così, ma non solo. In verità, sempre nell’ottica di creare un’identità ben definita e coerente con la natura della propria attività, anche stabilire su quali canali essere presenti è decisivo.

Questo vale soprattutto in un momento come questo in cui ci sono sempre più social media e spesso è utile scegliere su quali investire e quali invece trascurare perché fuori target. Ed ecco come un calendario editoriale personalizzato può venirvi – di nuovo – in aiuto per stabilire dove pubblicare e come interagire, distribuendo il budget di conseguenza. Allora, pronti a lanciarvi nell’impresa?

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Paura a scrivere su Linkedin? Non più, con i nostri consigli!

giovedì, 08 Aprile 2021 da studio24

Se a volte vi siete sentiti ansiosi o addirittura spaventati all’idea di scrivere su un social network, sappiate che non siete soli. Strano a dirsi, soprattutto in un periodo storico in cui non c’è bisogno nemmeno di saper scrivere per commentare un post, ma ci sono persone che provano un senso di inadeguatezza quando si tratta di interagire con un commento.

Magari non ci si sente all’altezza, oppure si teme il giudizio degli altri pensando di sembrare poco intelligenti – di nuovo: assurdo in questo momento storico – e la sensazione di disagio cresce quando, anziché esporsi con la propria persona, ci si espone con il proprio business. Per questo sono in tanti a tenersi alla larga da Linkedin. Il fatto di confrontarsi con altri professionisti e altre realtà dello stesso settore, infatti, può generare davvero molta ansia.

In questo modo, però, ci si preclude un’imperdibile occasione di tenersi aggiornati e farsi nuovi e utilissimi contatti. Ed ecco perché, in questo articolo, ci occuperemo delle cause di questo disagio, e vi daremo alcuni utili consigli per superarlo e sfruttare al meglio Linkedin. Pronti? Cominciamo!

Sentirsi degli impostori: la sindrome che colpisce i bravi

Una delle cause più frequenti che blocca le persone dall’interagire sui social è la sindrome dell’impostore. Si tratta di una vera e propria condizione patologica che colpisce le persone di successo impedendo loro di vedere le proprie skills. Di conseguenza, tutto ciò che ottengono gli sembra frutto di un errore o di un colpo di fortuna, e vivono nel costante timore di essere smascherati. In poche parole, si sente di non meritare davvero il successo.

È la paura di essere smascherati, di far scoprire a tutti che in realtà non ci si è davvero meritati il proprio successo, a spingere queste persone a tenersi a distanza dai social. Maggiore è il confronto, per loro, maggiori sono le possibilità che le persone si rendano conto che non sono poi così capaci.

Come superare la sindrome dell’impostore?

Ora che abbiamo descritto il problema, passiamo a quello che ci interessa davvero: risolverlo. Anzitutto una buona notizia: anche se si tratta di una condizione patologica, la sindrome dell’impostore nella maggior parte dei casi non è grave né invalidante, e si può superare anche adottando dei piccoli accorgimenti. Vediamo quali:

  • Pensare che si è su un social: davvero, finché non inviate ogni mattina uno sticker luccicante con scritto “buongiornissimo, kaffee?”, siete a cavallo. E peraltro ad alcuni questi sticker piacciono. Insomma, non siete a una conferenza di esperti del settore, nessuno si aspetta da voi che sfoggiate un Q.I. da M.e.n.s.a., vi basta scrivere qualcosa di leggero e sensato.
  • Interazione n.1: i clienti. Oltre a non essere a una conferenza, la maggior parte delle persone che vi leggeranno sono vostri clienti, cioè persone che si rivolgono a voi in quanto professionista. In poche parole: ne sanno meno di voi.
  • Interazione n.2: alla larga dalle profezie auto avveranti. Chi soffre della sindrome dell’impostore tende ad adottare comportamenti che confermano la propria convinzione, relazionandosi ad esempio con professionisti dello stesso settore, ma che magari hanno un business su scala molto più ampia, o decenni di know how in più alle spalle. Ecco, non fatelo. O meglio: fatelo in un’ottica di “spia chi è meglio di te e scopri i suoi segreti”, senza però entrare in competizione con chi gioca in un altro campionato.
  • Rimanere su un terreno sicuro: parlare esclusivamente di ciò che si conosce – un’abitudine ormai persa sui social – non intervenire se non si ha nulla da dire – idem come sopra – ed esprimere il proprio parere sulla base della propria esperienza, sono ottimi modi per sentirvi sicuri di ciò che scrivete. Inoltre, finché si resta nell’alveo delle opinioni personali, difficilmente ci si espone al rischio di critiche.

L’effetto Dunning-Kruger e la sindrome della tuttologia

Questo effetto non colpisce solo chi si sopravvaluta, ma anche chi invece sottovaluta le proprie competenze. Anche in questo caso, superare il problema è relativamente semplice. Basta chiedere feedback sul proprio operato (ed essere però anche disposti ad ascoltarli). Ma, soprattutto, diventare delle spugne. Anziché pensare di essere arrivati, cioè, tendere a sfruttare ogni occasione per informarsi e imparare.

Cominciare a postare

E adesso, vediamo come affrontare in modo sereno l’approdo sui social. Per prima cosa, va considerato che, di fatto, ci si espone. Al giudizio degli altri, alle loro opinioni, e perché no, anche alle loro critiche. Tenete in considerazione le opinioni, ma prendete cum grano salis giudizi e critiche. I primi perché spesso sono gratuiti, le seconde perché richiedono un certo grado di competenza alla base, ma è raro che chi critica un post sui social ne sia effettivamente dotato.

Detto questo, anche se non tutti i commenti meritano una profonda riflessione, è importante ricordare che, invece, tutti meritano una risposta educata. Anche perché, oggigiorno, basta una risposta sgarbata a un commento imbecille per diventare virali, come molti “epic fail” insegnano: chi si relaziona con l’audience è davvero sotto i riflettori, e rappresenta l’azienda, quindi occorre agire con cautela.

Un altro buon consiglio, è quello di rimanere fedeli all’immagine del proprio brand, sia che si rappresenti un’azienda, sia che si sia liberi professionisti. Il contenuto social non dovrebbe mai deviare da quel complesso di valori con cui i clienti sono abituati a identificarvi. Si parla, in questo caso, di coerenza comunicativa. Questo vale tanto quando si posta, quanto quando si risponde. In questo senso può essere molto utile, prima ancora di aprirsi una pagina, darsi una sorta di codice di autoregolamentazione.

Decidere, ad esempio, se rispondere a tutti o meno, se interagire con chi critica o piuttosto moderare i commenti, cosa fare quando si sbaglia (ammettere l’errore e scusarsi, non dovrebbero esistere altre opzioni e sicuramente non ce ne sono altre che permettano di salvare la faccia.) Condividere queste regole con tutto il team aiuterà non solo a facilitare l’interazione sui social, ma anche a offrire un’immagine organica e sempre coerente con sé stessa, che permetta ai clienti di non sentirsi disorientati.

Allora? Vi abbiamo convinti a iscrivervi?

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Sfrutta i contenuti del tuo blog anche sui canali social

lunedì, 15 Marzo 2021 da studio24

Ormai, chiunque abbia un ecommerce, o anche semplicemente il sito web della sua attività, sa che una sezione blog in cui raccontare i prodotti è essenziale. Gli articoli informativi in cui inserire sapientemente riferimenti e consigli sui prodotti sono davvero utili per veicolare le scelte dei clienti. Già, ma perché sfruttarli solo sul sito?

Condividere gli articoli del blog sui social è utilissimo, sotto almeno due punti di vista: in primo luogo, si arricchisce la pagina social con un contenuto interessante, e in secondo luogo, si avvicinano gli utenti social al blog e, quindi, al carrello. Vale dunque la pena approfondire qualche tecnica per rendere la condivisione il più efficace possibile.

Bene in vista

Ci sono condivisioni e condivisioni, lo si può notare facilmente scorrendo l’home page di Facebook. Le pagine dei siti più strutturati, ad esempio quelle dei quotidiani, pubblicano contenuti molto chiari, una vera e propria anteprima dell’articolo. Questo tipo di ottimizzazione è utile all’utente per dare un’occhiata superficiale e, se interessato, cliccare. Ma serve soprattutto alla pagina per rendere più accattivante il contenuto e attirare il maggior numero di click possibili.

Come ottimizzare l’anteprima? Utilizzando un’immagine di qualità, una didascalia, un tag title e una meta descrizione. La didascalia serve non solo a introdurre l’argomento, ma anche a utilizzare gli hashtag, taggare altri utenti o gli stessi dipendenti dell’azienda per coinvolgerli in una discussione e sperare in una ricondivisione, mentre tag title e meta descrizione vengono ripresi automaticamente, ma possono essere anche modificati per l’anteprima social, un procedimento piuttosto semplice specie per chi usa Wordpress.

Non temere di ripeterti

Ossia: non aver paura di condividere una seconda volta un articolo. Magari la prima volta ha ricevuto un certo numero di like e sei sicuro che piacerà anche ai nuovi utenti, oppure il post tratta un argomento tornato attuale per una qualsiasi ragione, come l’uscita di un nuovo prodotto. Quale che sia il motivo, l’importante è agire con furbizia.

Ad esempio, occorre un certo tempismo. Esistono social in cui gli utenti sono estremamente prolifici, quindi un contenuto tende a “scendere” nella timeline piuttosto facilmente. È il caso di Twitter, ma anche di Instagram, dove quindi si può ricondividere anche una volta al giorno, o addirittura due volte nell’arco di una giornata. Viceversa, su Facebook è più opportuno attendere almeno qualche settimana, per evitare che gli utenti si trovino sotto gli occhi lo stesso articolo di continuo (allarme spam!). Il tutto, naturalmente, tenendo ben presenti gli orari in cui un post riceve il massimo della visibilità.

Sfrutta ogni occasione utile per aumentare la visibilità

Noti che un articolo del blog sta ricevendo una certa attenzione? Utilizzalo come adv su Facebook. Il senso delle adv è garantirti visibilità e portare gli utenti sul tuo sito, e non è detto che questo debba avvenire solo con contenuti promozionali tradizionali, anzi: utilizzare le adv per rendere più visibile un contenuto che sta riscuotendo un alto gradimento è un modo furbo per ampliare la propria platea.

Allo stesso modo, puoi sfruttare i post più commentati per fare community. Rispondere agli utenti in modo sollecito e brillante e raccogliere informazioni sui loro gusti creerà un senso di comunità che aumenterà la loro fiducia nel brand e ti darà preziose informazioni per personalizzare sempre più i prossimi contenuti.

Un vero e proprio circolo virtuoso.

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Clubhouse: scopriamo l’ultima novità in fatto di social

lunedì, 01 Marzo 2021 da studio24

Nelle ultime settimane ne avete probabilmente sentito parlare fino allo sfinimento. Frasi come “sono in stanza con Calcutta” hanno assunto un significato completamente diverso, e alcuni androidiani convinti hanno cominciato a vacillare.

E si, anche noi ne stiamo parlando, non si può non parlare di Clubhouse, il nuovo social network che usa l’audio anziché la scrittura, è diviso in stanze, e al quale si accede su invito.

Ma ha anche dei difetti. Quali? Conosciamolo meglio!

Come funziona Clubhouse

Abbiamo già detto che si tratta di un’app. Aggiungiamo che è gratuita, e che è interamente in inglese. Al posto di timeline e bacheche ha delle stanze in cui si può interagire esclusivamente tramite messaggi audio diretti. Non ci sono, cioè, registrazioni. Chi è nella stanza ascolta, chi è fuori è fuori (creare l’hype attraverso la scarcity: lo state facendo bene).

Si può entrare in una stanza per ascoltare soltanto, e in questo caso applaudire o meno, o chiedere l’autorizzazione per intervenire, lasciare commenti o fare domande. Le notifiche e le stanze più interessanti vengono segnalate in un’apposita sezione.

Come scaricare Clubhouse e chi può farlo?

Cominciamo subito col dire che Clubhouse è disponibile solo su Apple Store con il nome Clubhouse: Drop-in audio chat.

È, inoltre, necessaria la versione IOS 13 e avere almeno 17 anni. A differenza di quanto la vulgata ci stia facendo credere, invece, non serve avere l’invito per il download e la preregistrazione. Infatti, una volta registrati, viene inviata una notifica a tutti i contatti della vostra rubrica, così che sappiano che ci siete, ed eventualmente cliccare sulla notifica e farvi entrare (capirete quindi molto su cosa provano per voi i vostri contatti), e vi vengono forniti due inviti. Una misura che, oltre all’immagine esclusiva del social, dovrebbe garantire il rispetto dell’età minima.

All’ingresso vengono anche suggeriti stanze e personaggi da seguire, mentre altri inviti vengono forniti man mano che si passa del tempo nell’app.

Come ottenere inviti su Clubhouse?

Come avrete già capito, è meno difficile di quanto sembri, in quanto è sufficiente scaricare l’app ed effettuare la preregistrazione, a quel punto basta aspettare che uno dei vostri contatti clicchi sulla notifica e vi faccia entrare, utilizzando quindi per voi il suo invito.

Potete però garantirvi maggiori possibilità di successo chiedendo a qualche contatto dei vostri numerosi gruppi Whatsapp (finalmente servono a qualcosa), o accedendo ad appositi gruppi Facebook e Telegram.

Room di Clubhouse: sono entrato, e ora che faccio?

Dopo tanta fatica (scherziamo) per ottenere un invito, è ora di esplorare Clubhouse. Come abbiamo detto, è suddiviso in stanze, alcune destinate a semplici chiacchiere, altre invece con un tema specifico. Alcune vengono aperte da personaggi noti, ma anche dal vostro prozio. Anche il numero di utenti per stanza è variabile, così come le tematiche affrontate.

Il modo migliore per esplorare è individuare un utente che fa commenti o interventi che apprezzate, cliccare sul suo profilo e scoprire quali stanze segue. Se però non volete rischiare di trovarvi nell’ennesima bolla social, potete ricercare le stanze per nome o per temi, sta poi a voi variare gli argomenti.

E se voglio creare una mia room? Tipi di room su Clubhouse e come crearle

In questo caso, la prima cosa che dovete sapere è che potete creare delle room a cui può accedere chiunque (open), room di cui solo voi potete decidere chi avrà l’accesso e chi no (closed) e room ibride, in cui possono accedere liberamente solo persone che sono già un vostro contatto.

La stanza può essere aperta sul momento o a un orario preciso. In questo secondo caso si parla di room programmata e richiede la creazione di un evento, così da informare tramite notifica i vostri contatti. Per farlo, andate sulla schermata principale cliccando sull’icona del calendario e selezionate “+”. Ora inserite titolo, argomento e moderatori (potete anche moderare voi stessi) ed è fatta. I vostri contatti riceveranno una notifica e l’evento sarà inserito nella loro agenda giornaliera di Clubhouse. A quel punto, quando arriva il momento dell’evento, basta tornare sul calendario, selezionare My Events, e poi cliccare su “start a room”.

Attenzione a cosa dite, perché da quel momento tutti possono ascoltarvi.

Quanto ai vostri ascoltatori, tutti possono segnalare un abuso, i moderatori invece possono curare la conversazione e dare l’autorizzazione a parlare, gli speaker sono coloro che intervengono, e i listener sono coloro che assistono e possono chiedere di intervenire.

Chi ha aperto almeno 3 room in una settimana può creare un Club, una sorta di gruppo chiuso in cui si può anche registrare il contenuto delle room.

Si guadagna qualcosa su Clubhouse?

No. A differenza di altri social network, come ad esempio TikTok, Clubhouse non paga i creatori di contenuti. Vive di annunci sponsorizzati. È tuttavia probabile che, in futuro, l’influencer marketing trovi una via per raggiungere anche gli utenti le cui stanze raggiungono un certo numero di accessi.

Che tipo di contenuti posso trovare?

Come abbiamo detto, i contenuti sono i più vari. Quelli più gettonati vanno dalle interviste alle letture (veri e propri audiolibri dal vivo), dalla musica ai consigli per gli startupper. Insomma, l’innovazione, più che nei contenuti, sta nella rinnovata tendenza a una comunicazione basata sull’audio e non sui messaggi scritti. C’è poi il fattore Musk, e non parliamo dell’erbetta del presepe: il celebre ereditiere – barra – inventore di Tesla (e di molto altro) si è infatti concesso per un’intervista su Clubhouse portando un’enorme attenzione sul social. La conseguenza favorevole è che diversi personaggi interessanti hanno seguito il suo esempio, per cui in questo momento la qualità dei contenuti è generalmente piuttosto buona.

Clubhouse: Pro

Facciamo ora una rapida analisi dei pro e contro. Tra le note positive troviamo:

  • Un discorso in diretta ha una nota più umana, e quindi emozionale, rispetto ai messaggi scritti e ai video registrati;
  • Gli utenti tendono a rimanere nelle stanze per un certo tempo, sia perché la loro uscita è visibile, sia per il fattore curiosità: una volta in una stanza si può infatti vedere tutti quelli che ci sono, e ci si passa quindi un certo tempo anche se il contenuto vero e proprio non interessa;
  • Quando i contenuti sono invece interessanti, il fatto che siano in diretta tende a far concentrare di più gli ascoltatori;
  • Il networking – nelle stanze tematiche e non – è assai più diretto e immediato, anche rispetto a Linkedin;
  • L’accesso limitato e su invito favorisce il senso di comunità;
  • L’anonimato favorisce la varietà dei contenuti;
  • È molto selettivo, e gli utenti che hanno comportamenti disturbanti vengono facilmente bannati.

E i contro?

  • Trattandosi di un prodotto relativamente nuovo, ha ancora qualche bug da risolvere e non lavora ancora in modo completamente fluido;
  • Alcuni argomenti, ad esempio quelli tecnici, sono sicuramente interessanti da ascoltare in diretta, ma varrebbe la pena poterli riascoltare, mentre invece finita la diretta vanno persi;
  • È decisamente poco indicato ai tanti che hanno una bassa soglia dell’attenzione;

E la privacy? I dati su Clubhouse

In questo momento la privacy sembra una nota a favore di Clubhouse. Infatti, i dati che richiede e che raccoglie – cioè quelli che potrebbero diventare merce di scambio – sono davvero pochi. La maggior parte dei record, infatti, riguardano le statistiche di utilizzo e la diagnostica. Certo non si esclude che un giorno il tono della voce degli utenti – che non è un dato protetto dal GDPR – possa essere utilizzato come dato biometrico per degli studi di settore, ma è un’ipotesi che ad oggi non si è ancora verificata.

Clubhouse: prospettive future

A questo punto sarebbe bello fare una battuta e rispondere lapidari: comprata da Facebook. E sicuramente, vista la tendenza del caro Mark (se non puoi batterli, comprali) non siamo lontanissimi dalla realtà. Per capire però se vale la pena investire tempo in Clubhouse bisogna analizzare la questione più da vicino. Ad esempio, se assumiamo che il suo appeal deriva principalmente dall’esclusività, l’attrazione di un numero sempre crescente di utenti, come sta avvenendo ora, ne decreterà il crollo.

In alternativa – ma è un’ipotesi che al momento non si sta verificando – potrebbe sostentarsi con le donazioni spontanee degli utenti. È un dato che sarà interessante seguire in futuro, perché si tratta di una società quotata che, in quanto tale, deve necessariamente tendere al profitto e farlo anche in tempi brevi (il dividendo ticchetta), ma allo stesso tempo non commercializza dati, e si sostiene con inserzioni pubblicitarie che, per essere davvero redditizie, richiedono una platea ampia. Insomma, staremo a vedere.

Qualche considerazione finale

Abbiamo visto come funziona Clubhouse, come accedere, e come creare un evento o partecipare agli eventi altrui. Conosciamo i temi più gettonati, i punti di forza e quelli di debolezza, e ci siamo chiesti se questo social ha un futuro. La domanda è: vale la pena focalizzarsi su Clubhouse? Si, quasi in ogni caso si. Chi ha qualcosa di interessante da dire – forse ci si può basare sui podcast: si ha un argomento solido e un modo di esporlo accattivante? – può trovare proficua l’idea di aprire una stanza. Ma anche chi non vuole parlare può trarne grande vantaggio grazie alla sua immediatezza nel fare network. In questo secondo caso, anzi, vale la pena sfruttare questo momento in cui vige ancora una relativa esclusività, e approfittarne per curare quei contatti che possono rivelarsi più utili.

Allora? Pronti a buttarvi?

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Cosa puoi chiedere e cosa no, al tuo social media manager

lunedì, 13 Luglio 2020 da studio24

“Buongiorno, vorrei raddoppiare i follower in un mese, e vedere una crescita esponenziale delle vendite su base annua. Primo mese di prova, poi se va bene pensiamo a un contratto più stabile”

“Fantastico! E il caffè a letto a che ora vuole che glielo porti?”

Questa conversazione è avvenuta almeno una volta nella vita di ogni social media manager (a onor del vero: metà della conversazione è stata solo pensata). Perché le vie del Signore sono infinite, ma anche le aspettative dei clienti non scherzano.

Saper distinguere tra legittimo, realistico e utopia

A volerla dir tutta, per il social media manager spesso più che di utopia si tratta di distopia vera e propria. Non certo a causa della malafede del cliente: il fatto stesso che si stia rivolgendo a un professionista ci dice che non mastica molto la materia. Logico, quindi, che possa avere delle aspettative irrealizzabili. Poi ci sono i clienti che pretendono l’impossibile perché mossi da un secondo (losco) fine, ma questa è un’altra storia.

Limitando la nostra analisi al cliente in buona fede, è più che legittimo che si aspetti un ritorno dal suo investimento. E anche che non abbia gli strumenti per valutare la fattibilità o meno delle sue aspettative. La maggior parte delle richieste non sono dissimili da quella riportata nell’introduzione, molto focalizzate su un risultato materiale notevole e immediato, molto poco su temi come strategia, reputazione, fiducia nel brand. In poche parole, inconsapevolmente, stanno ponendo le basi per ottenere un risultato diametralmente opposto a quello sperato.

Il vizietto di pretendere molto e concedere poco

C’è un solo modo per garantire al cliente di guadagnare un certo numero di follower entro un certo tempo e mantenere la promessa: comprarli. Purtroppo, ad oggi la ricerca non è ancora riuscita a scoprire il modo di trasformare i follower finti in conversioni vere, per cui per il momento bisogna accantonare questa soluzione.

Tornando alla realtà, il social media manager è consapevole del numero di varianti che entrano in gioco in un’attività di promozione, non ultima un pubblico estremamente volubile, e del fatto che crescere in modo organico richiede una strategia di lungo periodo. Molte di queste variabili, poi, dipendono dal cliente stesso, come il prezzo dei prodotti, la notorietà del brand e le risorse investite, il che rende ancora più illogiche certe richieste.

La serietà porta meno contratti, ma paga

E quindi? Arriviamo al punto: cosa fare davanti al cliente che pretende l’impossibile? A nostro modestissimo avviso, essere completamente onesti è il miglior modo di rispettare sia il proprio lavoro che il cliente stesso. Sicuramente alcuni andranno via delusi, ma riflettiamo: quelli sono clienti con cui si desidera lavorare? No. Nessuno spera di incontrare sul proprio cammino qualcuno che pretende la luna, ma è disposto a investire meno del minimo sindacale.

È un atteggiamento prima di tutto irrispettoso, che nasconde la sempreverde considerazione “questo sa farlo anche mio figlio che fa la quinta elementare”. Si tratta di clienti che non hanno le idee chiare e non masticano la materia, ma pretendono comunque di avere un’opinione, guarda caso un’opinione estremamente vantaggiosa per loro. La cosa giusta da fare, in questo caso, è consigliargli di rivolgersi al figlio che fa la quinta elementare, perché non sono evidentemente pronti a rapportarsi con un professionista.

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Come funziona l’algoritmo di LinkedIN?

mercoledì, 24 Giugno 2020 da studio24

LinkedIn, la rete di professionisti più grande al mondo, conta oltre 645 milioni di utenti iscritti in più di 200 Paesi nel mondo.​​​

Fondato come network per cercare lavoro, molti professionisti condividono contenuti per le aziende, personal branding, divulgazione, ecc.

Ma come vengono visualizzati?
Ovviamente il tutto è gestito da un algoritmo che da priorità differenti secondo molti parametri.

linkedin algoritmo Studio 24

​​Quando viene pubblicato un post esso viene classificato, in circa 200 millisecondi, ​in tre categorie: “spam”,”low-quality”,”clear”.

Il sistema seleziona un pool di contenuti da mostrare a utenti selezionati e affini applicando ad ogni post un’ algoritmo di classificazione che prova a simulare il gradimento di questo su quegli utenti selezionati.

La simulazione, grazie a modelli di machine learning, tiene conto di:

  • Azione = se l’utente sarà portato a compiere un’azione sul post
  • Downstream = la possibile “viralità” che può generare, ovvero interazioni successive alla prima azione (es. un like)
  • Upstream = la spinta a produrre maggiori contenuti che l’autore del post può ricevere da una maggiore interazione con i suoi post

Tutto questo per far si che il sistema tenda a mostrare solo post che possano essere cliccati e letti.

​In seguito viene monitorato per vedere che successo ha nel network e nella community di LinkedIN.

In pratica ha maggior valore quante più interazioni ha o visualizzazioni riceve.​

Conta anche quanti e quali connessioni interagiscono tramite reazioni (like, commenti o condivisioni), tempi di lettura del post oppure segnalazioni per la bassa qualità, contenuti inappropriati o spam.

​Dopo questa acquisizione dati, l’algoritmo permette o meno al contenuto di essere proposto ai contatti, quindi di avere maggiore visibilità perchè ritenuto di valore, oppure di contro avere delle limitazioni a livello di feed o addirittura di sospensione.​

​Attualmente l’algoritmo di Linkedin si sta evolvendo introducendo sempre novità di analisi e scoring sui post pubblicati, in ultimo ad esempio la possibilità di tracciare il tempo di lettura del contenuto.​

Ma quindi subiamo l’algoritmo?

No. Infatti puoi intervenire sul tuo news feed e decidere quali contenuti vedere o filtrare in base ai tuoi interessi.

Ad esempio eliminando o smettendo di seguire quei contatti che condividono contenuti non interessanti per il tuo profilo, magari quelli aggiunti per “amicizia” e non affinità professionale.

Puoi nascondere i post che ritieni non interessanti e che non vuoi rivedere in futuro.

Ti consigliamo di usare lo strumento  “Migliora il mio feed” per selezionare persone e hashtag di temi a te affini da vedere nella tua pagina iniziale.
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Aggiornamento

LinkedIN ha introdotto i tempi di lettura nell’algoritmo.

Esso è un segnale di interesse degli utenti sul contenuto e dunque inserito come fattore importante di ranking.

Le interazioni spesso non sono sufficienti per definire la bontà di un post, infatti posso essere passivo e leggere i post interi senza compiere azioni, oppure cliccare un link ma subito chiudere la pagina perchè non interessante o ancora mettere un like compulsivo su contenuti qualitativamente poveri.

A ora l’algoritmo correla il periodo di visualizzazione del post con la probabilità di interazioni.

C’è un tempo definito in cui l’utente legge e passa, ma se si sofferma di più e trascorsa questa variabile il contenuto aumenta la probabilità di interazione, identificato come interessante, e dunque viene premiato.

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I trend per il 2020 nel mondo social

lunedì, 15 Giugno 2020 da studio24

Abbiamo visto, nel corso degli ultimi anni, che l’interazione tra il mondo social e il marketing è una realtà in continuo divenire: da un lato infatti i social network cambiano spesso pelle, proponendo sempre nuove funzionalità, e, dall’altro, il marketing si adatta ai nuovi gusti degli utenti per rimanere al passo con i tempi.

Già, ma quali sono i trend da tenere d’occhio per il 2020? Li abbiamo analizzati in questo articolo.

Sempre più video

Le Instagram stories e i video di Tik Tok avranno sicuramente un ruolo centrale. Le aziende hanno cominciato ad accorgersene già a metà del 2019, ed è logico aspettarsi che l’attenzione su questi due strumenti non potrà che crescere nei prossimi mesi. Lo sanno anche le piattaforme che, con la funzione “swipe up” permettono di spaziare facilmente dal video sul social all’ecommerce.

Parola d’ordine: targettizzare

Il motivo per cui le aziende hanno un rapporto privilegiato con i social, come tutti sappiamo, è che si crea un rapporto di dare e avere. L’utente scopre i nuovi prodotti, e l’imprenditore raccoglie preziose informazioni sui gusti della clientela. Il trend da tenere d’occhio riguarda l’uso che si fa di queste informazioni: segmentare l’utenza per solleticare l’attenzione dei clienti con offerte personalizzate in base all’area geografica, all’età e agli acquisti fatti in passato.

Il valore dei dati

Oggigiorno anche l’utente meno esperto è consapevole del fatto che i dati personali che cede a un’azienda hanno un valore. Ecco perché da un lato si presta sempre più attenzione alle modalità di trattamento e, dall’altro, ci si aspetta qualcosa in cambio. E mentre sugli ecommerce questo “qualcosa” di solito corrisponde a un piccolo sconto o alla spedizione gratuita, sui social si ricorrerà sempre più spesso a divertenti giochi a premi come la ruota della fortuna, o a quiz a risposte multiple con domande simpatiche.

L’importanza della brand reputation

Non è certo una novità che la brand reputation sia fondamentale per l’engagement. Tuttavia, finora solo le imprese più smart hanno capito che la brand reputation passa anche per la comunicazione social, e sono state abbondantemente premiate per la loro lungimiranza. Sarà quindi lecito aspettarsi una maggiore attenzione al monitoraggio dei contenuti tramite tool analytics, ma anche modalità di comunicazione che escano dai canoni tradizionali per integrarsi con le notizie di attualità, creando un rapporto più sincero e spontaneo con la clientela.

Collect and share

E a proposito di social reputation, quello della condivisione dei propri acquisti sui social è un trend che ha saputo sfruttare intelligentemente la passione dei clienti per le recensioni. Offrire al cliente la possibilità di condividere immediatamente i suoi acquisti sui social, ma anche di poter raccontare l’esperienza d’acquisto, è un modo intelligente di coinvolgere sempre più utenti e rafforzare la fiducia nei confronti del brand. Questo vale in particolar modo per gli ecommerce meno conosciuti, in cui la recensione di chi ha già fatto un acquisto può essere decisiva per spingere un nuovo utente a fidarsi di un brand con il quale non ha ancora mai avuto un rapporto diretto.

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Lo storytelling relazionale: cos’è e come farlo bene

venerdì, 29 Maggio 2020 da studio24

Sappiamo bene quanto sia importante per un’azienda costruire un rapporto di fiducia con i propri clienti e quanto lo storytelling giochi un ruolo fondamentale in questo processo. Saper raccontare la filosofia aziendale, comunicare le idee che stanno dietro un progetto, ma anche la passione di chi ci lavora, in poche parole: condividere dei valori, è un mezzo potentissimo per creare un legame stabile e duraturo.

Viviamo però in un’epoca in cui il semplice storytelling, per quanto importante, non è che la base di un racconto che prosegue quasi quotidianamente, avvalendosi anche delle interazioni dei clienti. È questo lo storytelling relazionale.

Una nuova forma di comunicazione nata grazie alle nuove tecnologie

Se pensiamo alla differenza tra un manifesto pubblicitario e una pagina Facebook, è facile realizzare quanto la comunicazione sia cambiata non solo nelle forme, ma anche nei contenuti. Un cambiamento avvenuto anche e soprattutto grazie ai social, che hanno introdotto la possibilità di instaurare un rapporto diretto e quotidiano con i clienti, e di creare una narrazione fondata sui loro bisogni e sui loro desideri.

Possiamo pensare allo storytelling relazionale come a un dialogo, in cui il contenuto del racconto non è predefinito, ma muta in base agli imput dell’interlocutore. Richieste, proteste, situazioni positive e negative: tutto è utile a costruire una storia autentica e spontanea. Lo scopo è quello di rendere più efficace la comunicazione coinvolgendo i suoi destinatari fino a fargli assumere un ruolo attivo.

Le regole dello storytelling relazionale

Ciò che è fondamentale infatti, in questa forma di comunicazione, è la relazione con il cliente. Questo non è più il destinatario della narrazione, ma ne diventa il protagonista. Tutto, dall’azienda ai suoi prodotti, ruotano intorno alla sua figura. La filosofia e i valori aziendali vengono trasmessi in modo indiretto, mostrando come operano nelle situazioni concrete.

Materialmente questo significa spostare l’attenzione dal prodotto e dall’azienda al cliente. Immaginare come il prodotto e i valori aziendali possano accompagnare il cliente in una fase della sua vita, rispondere ai suoi bisogni, aiutarlo nel raggiungere i suoi obiettivi. Così come un dialogo coinvolgente sfrutta diverse modalità, dalla scelta delle parole alla gestualità, per risultare più efficace, allo stesso modo nello storytelling aziendale si lavora per concetti e immagini in modo da trasmettere quante più sensazioni possibili.

Come costruire uno storytelling relazionale efficace

Abbiamo detto che tutto, dalle recensioni alle proteste, è utile alla narrazione. Questo perché la veridicità del racconto, nel caso dello storytelling relazionale, è un elemento davvero imprescindibile. Il buon comunicatore dovrà quindi sintonizzare le antenne sul sentire dei clienti, ed essere in grado prima di tutto di ascoltare, captando le reali esigenze dei destinatari della narrazione.

Solo in questo modo sarà possibile creare un contenuto plausibile, una narrazione che non corra il rischio di essere percepita come artefatta. Trattandosi di un racconto basato sul reale infatti, mai come in questo caso l’artefazione risulterebbe ridondante e fuori luogo. Ciò che è necessario, quindi, ma anche ciò che premia, è mostrare un reale understatement rispetto ai bisogni del cliente, creando così un vero coinvolgimento.

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Come “sfruttare” i tuoi dipendenti sui social

lunedì, 27 Aprile 2020 da studio24

No, non si tratta di metterli in catene e frustarli finché non mettono il like alla pagina aziendale, per fare rete, anche se la tentazione di trattare chi non mette il like alla pagina aziendale come un traditore della patria – ammettiamolo – è sempre presente.

In questo articolo parleremo piuttosto di come sfruttare al meglio la compagine aziendale per far fronte al nuovo algoritmo di Facebook, un’idea semplice, facile da realizzare, e decisamente efficace.

Di algoritmi e sponsorizzazioni
Come tutti ben sappiamo, Facebook ha il vizio di cambiare spesso il proprio algoritmo concentrandosi su uno o più aspetti che – secondo un gruppo di geni della Silicon Valley – meritano assolutamente di essere valorizzati. Cominciamo col dire che l’algoritmo cambia sempre in modo inaspettato, generando dapprima confusione e sconcerto (dove sono finiti i miei amici?) e, una volta capito il trucco, la comprensibile voglia di maledire i succitati fenomeni.

Per un certo periodo il focus è stato tutto sulle notizie, con la conseguenza che il Corriere del Ticino compariva in home page più spesso dei post dei parenti. In effetti sono stati in pochi a lamentarsene.

Attualmente il focus invece è su due elementi: sponsorizzazioni e interazioni. È facile capire il perché delle prime: si pagano, e quindi convengono all’azienda, che infatti ne mostra sempre di più a discapito di altri contenuti.

Generare interazioni per aumentare la visibilità
Le interazioni di Facebook consistono invece in like, commenti e condivisioni. In base al nuovo algoritmo, un contenuto appena creato viene mostrato dapprima a un numero ristretto di persone, e solo se riceve un certo tot di interazioni viene qualificato come interessante e mostrato a una cerchia più ampia. Questo chiaramente crea un sistema gerarchico in cui il massimo della visibilità viene garantito alle pagine sponsorizzate, seguite dai profili personali, che di solito creano più interazioni, mentre i contenuti delle pagine aziendali restano piuttosto in ombra.
Si tratta di una scelta ben precisa, volta a spingere le aziende a investire sempre di più in adv, ma che si può in qualche modo aggirare.

Come? Ricorrendo ai propri dipendenti per generare interazioni con le quali rendere il contenuto della pagina aziendale sempre più visibile. Magari creando contenuti che interessino prima di tutto loro, così da creare un’interazione spontanea.

Un esempio pratico: valorizzare i dipendenti per spingerli a interagire
Una volta capito che questa è la strategia giusta per “spingere” il contenuto di una pagina, vediamo come generare materialmente queste interazioni. Per prima cosa, lo stesso contenuto può essere postato sia sulla pagina aziendale che sulla pagina personale di un responsabile. In questo secondo caso, taggando nel post chi ha collaborato a un determinato progetto che, così, si sentirà spinto a mettere almeno un like.

In secondo luogo, è bene mettere in atto una strategia win win: creare un contenuto in cui venga valorizzato il lavoro di chi ha materialmente dato il suo contributo al progetto, offrendo così visibilità anche allo stesso dipendente.

Questo fa sì che dal like si passi facilmente alla condivisione, e dalla condivisione a un aumento della visibilità del post per effetto dell’algoritmo. In questo modo tutti, dall’azienda ai singoli, hanno guadagnato in visibilità, ma non solo: evidenziando il valore del gioco di squadra, anche la social reputation ne è uscita migliorata.

Se hai un’attività che vorresti promuovere, siamo a disposizione per una analisi gratuita della tua situazione.

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