Contenuti
Oggi parliamo di un termine che si sta diffondendo sempre di più tra il grande pubblico: il bias cognitivo. Di cosa si tratta? Secondo Wikipedia, un bias cognitivo è “un giudizio (o un pregiudizio), non necessariamente corrispondente all’evidenza, sviluppato sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, che porta dunque ad un errore di valutazione o a mancanza di oggettività di giudizio”.
Semplicisticamente, potremmo definirlo come una convinzione che si sedimenta nella persona a seguito di una valutazione errata o fondata su informazioni parziali. Ciò che ci interessa, però, è che i bias cognitivi sono estremamente frequenti, tanto che influenzano la gran parte del nostro agire quotidiano. E, di conseguenza, anche le nostre decisioni come consumatori. Ecco perché conoscerli può rivelarsi molto utile – no, non per manipolare la mente dei potenziali clienti, ma – per meglio impostare le strategie di marketing. Vediamo allora quanti e quali tipi di bias esistono, e come utilizzarli per aumentare le vendite.
Il Conservative Mindset:
Chiamato anche più brevemente “Conservatism”, consiste in quella tendenza a rigettare la novità, non voler rivedere le proprie posizioni, o riuscire a farlo solo parzialmente, quando vengono proposti nuovi dati. Come ci si rapporta a un conservative mindset? Evitando di imporsi, di apparire supponenti, sfuggenti e arroganti, e favorendo invece una comunicazione chiara ed esaustiva, un atteggiamento aperto e accogliente che introduca i concetti in modo soft. Un esempio pratico? Pensate a quando ricevete dieci chiamate di telemarketing in cinque minuti dallo stesso operatore, e fate esattamente il contrario.
L’availability heuristic
L’euristica della disponibilità è uno dei bias più diffusi, e consiste in una scorciatoia mentale che porta a ragionare e fare valutazioni in base alle massime di comune esperienza, o anche alle proprie esperienze specifiche. È, a tutti gli effetti, un limite mentale che impedisce il cambiamento. Ma allo stesso tempo, questo bias facilita l’impostazione delle strategie di marketing, suggerendo di veicolare i messaggi – e più in generale le ambizioni di vendita – verso quei soggetti che hanno già mostrato una propensione ad acquistare i vostri prodotti o fruire dei vostri servizi.
Choice supportive bias
Ho ragione o ho ragionissima? Nelle scienze cognitive, il termine choice supportive bias indica, infatti, quella tendenza a valutare le proprie scelte in modo più positivo di quanto non siano in realtà. Non solo attribuendo a ciò che si è scelto caratteristiche positive, ma anche gettando involontariamente discredito sulle opzioni che non si sono scelte.
Dal punto di vista del marketing, questo bias si rivela spesso un’arma a doppio taglio. Da un lato, infatti, fa sì che chi compie una determinata scelta d’acquisto tenda ad arroccarsi sulle proprie posizioni. Dall’altro, però – ed è quello che ci interessa in questa sede – tende anche a scomparire rapidamente qualora la realtà dovesse smentirlo (sentitevi liberi di interpretare quest’ultima informazione avvertendo nitidamente la voce di un manager milanese che scandisce: ri-sul-ta-ti!).
Il paradosso di Stockdale
simile al precedente, si tratta della tendenza a sovrastimare gli esiti positivi di un’attività. Da tenere sotto controllo perché aumenta le probabilità di fallimento.
Bandawagon Effect
Un nome esotico per un concetto che conosciamo sin dai tempi della scuola dell’obbligo: la tendenza a fare qualcosa perché la fanno tutti. E se l’inciso “centinaia di clienti soddisfatti” vi dice qualcosa, allora avete capito come sfruttarlo nel marketing. In poche parole: quando qualcosa ha successo, fatelo sapere in giro.
Blind spot e confirmation bias
Il primo indica la tendenza a riconoscere gli effetti dei bias nei comportamenti degli altri, ma non nei propri. Il secondo, invece, è la tendenza a confermare il proprio giudizio. Vi dice nulla “è la prima impressione quella che conta”? Questo perché le persone tenderanno a valutare solo quei dati che confermano l’idea che si sono già fatte. Trattiamo i due bias insieme, perché il confirmation bias è ciò che, nel marketing, consente di far fronte al blind spot. In poche parole, si tratta di dare – o dire – al proprio target quello che (già) vuole.
Conservation bias
Diverso dal Conservatism, si può tradurre in soldoni con la tendenza a non investire in ciò che non si conosce, indipendentemente dal fatto che l’investimento potrebbe portare un ritorno decisamente positivo. Il trucco, allora, sta nello scorporare la spesa “al prezzo di un caffè al giorno!”, introducendo una narrativa che presenti la scelta come estremamente conveniente, così da non sollecitare l’attivazione di questo bias.
Clustering illusion
Si tratta della tendenza a passare dal particolare al generale, considerando ad esempio come comune esperienza ciò che è invece accaduto solo al singolo. È un bias che genera diffidenza verso il mondo dei servizi, e che suggerisce di prestare particolare attenzione ad evitare situazioni problematiche, così da non ingenerare erronee convinzioni nei clienti.
Qualche consiglio finale
Abbiamo visto quali sono i bias cognitivi più frequenti, come influenzano i clienti, e come sfruttarli a proprio vantaggio. Manca solo un consiglio: nell’approcciare un cliente, è bene ricordare che l’aspetto emotivo vende più della logica (se questa fosse davvero efficace, i bias semplicemente non esisterebbero). Anziché spiegare allora perché una determinata convinzione è sbagliata, aggirate l’ostacolo, date ai clienti ciò che vogliono, fategli credere che non ci sono alternative. In poche parole, fate dei bias i vostri alleati.